Una donna romanzo autobiografico di Sibilla Aleramo apparve nel 1906, si tratta di uno dei primi libri “femministi” pubblicati in Italia.
Chi è Sibilla Aleramo?
Sibilla Aleramo (Alessandria, 14 agosto 1876-Roma, 13 gennaio 1960), pseudonimo di Marta Felicina Faccio detta Rina, scrittrice e poetessa italiana. È considerata una delle donne più importanti del movimento femminista del primo Novecento in Italia.
Trascorre una giovinezza infelice, segnata dall’internamento della madre in manicomio, da un matrimonio riparatore con Ulderico Pierangeli, che la violentò all’età di 15 anni, da un tentativo di suicidio.
Dopo un periodo trascorso a Milano, nel quale è direttrice di un settimanale femminile, nel 1902 abbandona il marito e il figlio Walter, che pure ama infinitamente, trasferendosi a Roma, dove collabora con la rivista «Nuova Antologia» e inizia il romanzo «Una donna». Ebbe una tormentata storia d’amore con Dino Campana, che si concluse con il ricovero del poeta in manicomio, e una “scandalosa relazione” con Lina Poletti.
Di posizione antifascista, al termine della Seconda guerra mondiale, Sibilla Aleramo torna a un serio impegno in campo politico e sociale, militando per il PCI e collaborando con l’Unità. Muore nel 1960, a 83 anni.
Tra le altre sue principali opere ricordiamo: Amo, dunque sono (1927); Poesie (1929); Dal mio diario (1945); Luci della mia sera (1956).
Una donna di Sibilla Aleramo trama
Nel suo romanzo più importante Una donna Sibilla Aleramo narra la propria esperienza in un paese delle Marche, l’adolescenza sottomessa al padre, che la costrinse a lasciare gli studi, e il matrimonio a 15 anni con l’uomo che l’aveva violentata. La protagonista, Sibilla, finirà per abbandonare il marito e il suo bambino e cominciare una carriera intellettuale, scrivendo articoli e libri, in nome della libertà e dell’autodeterminazione, perché convinta che una donna debba poter esprimere la sua identità anche al di fuori della famiglia, conquistandosi una vita indipendente.
Una donna è dedicato al figlio abbandonato: «L’ultimo spasimo di questa mia vita sarà stato quello di scrivere queste pagine. Per lui […]. Mio figlio mi dimenticherà o mi odierà. Mi odii, ma non mi dimentichi!».
Al centro è il tema della propria realizzazione come donna e non solo come moglie e madre, di fronte a un marito che la maltrattava e le impediva di svolgere l’attività di scrittrice e di collaboratrice di giornali femministi cui si stava avviando. La nascita del figlio renderà più acuta la contraddizione: «In me la madre non s’integrava con la donna», scriveva Aleramo con parole che squarciavano un vero e proprio tabù, quello che le donne dovevano essere relegate solo al ruolo di madre. «Perché nella maternità adoriamo il sacrifizio? […] Di madre in figlia, da secoli, si tramanda il servaggio. È una mostruosa catena. […] Se una buona volta la fatale catena si spezzasse, e una madre non sopprimesse in sé la donna, e un figlio apprendesse dalla vita di lei un esempio di dignità?».
Da queste domande maturava la scelta di vivere per sé e non rinunciare alla propria «dignità» di persona, anche se abbandonare il marito la costrinse alla lacerante separazione dal figlioletto, che pure amava infinitamente.
Una donna di Sibilla Aleramo commento
Il libro, che costituì un vero scandalo per quei tempi, fu letto da una parte del pubblico (soprattutto quello femminile) come denuncia della condizione della donna e occasione per ribadire l’esigenza di leggi che tutelassero la maternità e introducessero il divorzio. Ebbe un grande successo, numerose edizioni e diverse traduzioni. Fu poi ripubblicato dall’editore Feltrinelli nel 1973, nella fase centrale del movimento femminista, per il quale divenne un significativo testo di riferimento. In seguito ne fu tratto uno scenaggiato a puntate per la televisione (1978).