URSS, Unione Sovietica: dalla nascita (30 dicembre 1922) alla dissoluzione (21 dicembre 1991). Riassunto breve per conoscere la sua storia.
Quando nacque l’Unione Sovietica?
L’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) anche nota come Unione Sovietica fu ufficialmente costituita il 30 dicembre 1922, cinque anni dopo la Rivoluzione d’ottobre del 1917.
La Rivoluzione d’ottobre aveva portato in Russia alla caduta dell’impero degli zar e alla conquista del potere da parte del Partito comunista (PCUS) guidato da Lenin.
Quali Paesi facevano parte dell’URSS?
La Russia non era più un impero ma una federazione che riuniva quattro repubbliche slave principali (Russia, Ucraina, Georgia e Bielorussia) e circa 25 altre repubbliche di etnie diverse (turche, mongole ecc.).
Quali erano i suoi simboli?
La confederazione confermò come stemma la falce (i contadini) e il martello (gli operai) che erano diventati il suo simbolo dopo la Rivoluzione d’ottobre. Vi aggiunse la stella, simbolo dello Stato.
Le riforme
Il governo dell’Urss avviò una radicale riforma del sistema economico, basata sulla collettivizzazione delle terre e delle strutture produttive. Era il primo tentativo di dare concreta realizzazione alle idee comuniste maturate in Europa nel XIX secolo per opera di Karl Marx, Friedrich Engels e altri pensatori socialisti.
Lo Stato socialista si poneva come diverso e alternativo rispetto a quello liberale e capitalista, perché fondato sulla giustizia, l’uguaglianza e la fratellanza tra i lavoratori. La terra, le imprese e le altre risorse economiche furono quindi poste sotto il controllo diretto delle classi lavoratrici. In tal modo si limitò il diritto di proprietà, ritenuto all’origine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
L’Unione Sovietica durante il regime di Stalin
Negli anni Venti e Trenta del Novecento, sotto la guida di Iosif Stalin (Lenin era morto nel 1924) e per mezzo della rigida pianificazione statale di tutte le attività produttive, l’Urss fu protagonista di una grande crescita economica.
L’industrializzazione fu condotta a tappe forzate, sfruttando l’abbondanza di manodopera e di risorse naturali. Questo significò chiedere alla popolazione una serie di sacrifici del tutto inimmaginabili in uno Stato democratico. Furono imposti con un regime del terrore che determinò il più alto numero di morti mai registrato in un solo Paese.
Tutti i contadini furono inquadrati nei kolkhoz, le aziende agricole fondate sulla proprietà collettiva della terra, del bestiame e delle attrezzature e impegnate a fornire ogni anno allo Stato le quantità di prodotto imposte dall’alto.
La resistenza opposta alla collettivizzazione dai kulàki, gli agricoltori benestanti, fu violentissima. Pur di non dare allo Stato il loro bestiame, essi ammazzarono milioni di capi, creando una crisi alimentare che durò una decina di anni.
Ciò offrì a sua volta alla Ceka – un’onnipotente polizia politica incaricata di controllare la fede rivoluzionaria della popolazione e dotata del potere di arrestare o addirittura fucilare senza processo chi risultava sospetto – il motivo per organizzare la loro deportazione in massa nei gulag, i campi di lavoro forzato della Siberia. Di loro non si seppe più niente.
In circa dieci anni, 24 milioni di piccoli campi furono accorpati in 250 000 aziende agricole di grandi dimensioni. Questo tuttavia non produsse i risultati attesi. La produttività delle campagne rimase bassissima e violente carestie continuarono ad abbattersi sui raccolti. Le maggiori vittime della situazione furono proprio i contadini, perché le autorità si rifiutarono di tener conto della bassa produttività dei campi nello stabilire i quantitativi delle requisizioni annuali; di conseguenza, i morti per fame nei kolkhoz furono milioni.
Stalin ottenne invece risultati nel campo dell’industrializzazione. Sparita la proprietà privata anche nell’industria, l’Urss elaborò nel 1928 un Piano di produzione quinquennale che dava la priorità assoluta all’industria pesante, mentre fu totalmente sacrificata l’industria leggera.
Negli anni dell’industrializzazione si compirono anche notevoli progressi sociali: masse di analfabeti andarono a scuola; le università si aprirono ai figli dei contadini e degli operai; il sistema sanitario divenne gratutito.
Dall’altra parte, però, poiché non si producevano sufficienti beni di consumo, quegli stessi operai che affidavano con orgoglio i propri figli al Partito perché li educasse, non avevano vestiti né scarpe di ricambio; facevano file di ore per comprare un pezzo di sapone; abitavano con la famiglia ammucchiati in una sola stanza.
L’Urss dopo la Seconda guerra mondiale
Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, l’Urss continuò la sua crescita economica e industriale; non riuscì però a reggere il confronto con il benessere e lo sviluppo dei paesi industrializzati dell’Occidente. Inoltre, il contrasto politico con gli Stati Uniti e le tensioni della guerra fredda spinsero il governo sovietico a potenziare soprattutto l’apparato militare, sprecando un’enorme quantità di risorse.
Michail Gorbaciov e la dissoluzione
I limiti e le contraddizioni del modello economico socialista divennero via via più forti con il passare degli anni; per questo motivo Michail Gorbaciov, personaggio politico leader dell’Urss dal 1985, cominciò ad attuare riforme (la cosiddetta perestrojka) con l’obiettivo di realizzare un sistema economico che, pur mantendo la struttura socialista, accogliesse anche elementi di economia privata.
Questo tentativo però fallì per le forti resistenze di una parte della vecchia classe dirigente e per il peggioramento delle condizioni economiche dell’intero Paese.
La crisi dell’Urss era oramai inarrestabile. Il progressivo crollo dei regimi socialisti alleati dell’Urss, verificatosi nel corso del 1989 in Polonia, Ungheria, Cecoslocacchia, Germania orientale e Romania, peggiorò il clima di tensione economica e politica nelle singole repubbliche che componevano lo Stato sovietico. Esse, a partire dalle tre piccole repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania), cominciarono a proclamare la propria indipendenza dal governo centrale.
Il 21 dicembre 1991 si ammainò per l’ultima volta, dal pennone del Cremlino, a Mosca, la bandiera dell’Urss. L’Urss cessava di esistere dopo circa settant’anni.