I Vicerè (1894) romanzo capolavoro di Federico De Roberto. Qui il riassunto e il commento del romanzo.
I Vicerè romanzo di De Roberto è incentrato sulla storia della nobile famiglia siciliana degli Uzeda, principi di Francalanza, di origine spagnola; per secoli ha esercitato la carica di Vicerè dell’isola (da qui il titolo).
La vicenda si svolge per circa un trentennio, fra le vicende del Risorgimento italiano e le elezioni politiche del 1882. Per certi versi si tratta di un romanzo storico – e in effetti la lezione di Manzoni è ben presente – ma di un romanzo storico privo di fiducia nella storia, vista come perenne sopraffazione dei più forti sui più deboli.
I Vicerè di De Roberto ebbe due edizioni e in quella del 1920 Federico De Roberto rende il linguaggio più agile e moderno. Il libro è diviso in tre parti, ognuna delle quali è a sua volta suddivisa in nove capitoli.
I Vicerè riassunto dei capitoli
La prima parte
La prima parte inizia nel 1855 con la morte della vecchia principessa Teresa Uzeda di Francalanza. Ha lasciato disposto che Giacomo, il primogenito, e Raimondo, il terzogenito prediletto, ereditino l’intero patrimonio. Ai suoi altri figli, Angiolina (costretta a farsi monaca), Lodovico (anch’egli costretto a farsi monaco), Chiara (data in moglie al marchese di Villardita), Ferdinando e Lucrezia, ha lasciato solo legati minori.
Chiara, dopo una lunga attesa, resta incinta e dà alla luce un bambino mostruoso che muore subito dopo («quel mostro senza sesso aveva un occhio solo, tre specie di zampe, ed era ancor vivo»).
Gli Uzeda sono dilaniati al loro interno da odi feroci e da contrasti di interessi. Al principe Giacomo si oppone il coerede contino Raimondo, mentre il monaco benedettino don Blasco (cognato della defunta principessa Teresa, cinico e sanguigno) è contrapposto al nipote Lodovico (anch’egli monaco benedettino, che scala i vari gradini della gerarchia ecclesiastica), e alla sorella Ferdinanda. Ma gli Uzeda, per quanto divisi fra loro, sono poi uniti nel difendere i loro secolari privilegi e nell’affermazione della famiglia.
La seconda parte
La seconda parte segue le vicende degli Uzeda fino al 1870. Il conte Raimondo, divorzia dalla baronessina Matilde Palmi, impostagli a suo tempo dalla madre; ottiene l’annullamento grazie all’influenza della famiglia e sposa donna Isabella Fersa, già sua amante e della quale si stancherà presto, iniziando a tradirla.
Il primogenito Giacomo resta vedovo e sposa la cugina Graziella, anche lei rimasta vedova.
Don Blasco, che pure era ferocemente antiunitario, passa nel campo opposto, festeggia la presa di Roma nel 1870 e si arricchisce comprando i beni della Chiesa.
Il principino Consalvo, vizioso e arrogante, figlio di Giacomo, mandato anni addietro a studiare in convento, ne esce e inizia a condurre una vita sregolata, peggiorando i rapporti con il padre.
Ferdinando, gravemente malato nel corpo e nella mente, muore a soli 39 anni.
La terza parte
La terza parte è dominata dalle vicende di Teresa e Consalvo, figli di Giacomo.
Teresa è innamorata, ricambiata, del cugino Giovannino Radalì. La famiglia però la dà in sposa al fratello maggiore di lui, il rozzo Michele.
Giovannino si trasferisce allora in campagna, dove contrae la malaria, aggravata dalla depressione causata dall’allontanamento dalla donna che ama. Divenuto mentalmente instabile, si suicida.
Anche Giacomo, gravemente malato di cancro, muore dopo aver diseredato il figlio Consalvo.
Teresa mette al mondo numerosi figli, imbruttisce e invecchia precocemente.
Consalvo, dopo un viaggio nel continente e all’estero, cambia vita e decide di intraprendere la carriera politica. Sfruttando il prestigio familiare e l’abilità oratoria, diviene sindaco di Catania e infine l’elezione a deputato, continuando a gestire il potere che gli Uzeda hanno sempre esercitato.
I Vicerè libro di Federico De Roberto commento
Quando uscirono I Vicerè, l’autore non riscosse il successo che si aspettava; quelli erano gli anni in cui trionfavano Fogazzaro, D’Annunzio e gli altri scrittori decadenti.
Nei primi decenni del Novecento le cose non andarono meglio sebbene il modello de I Vicerè di De Roberto era certo presente in due importanti romanzi del Novecento, I vecchi e i giovani di Luigi Pirandello (1913) e Il gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1958).
Tutti e tre sono romanzi storici, si concentrano sullo stesso problema: il passaggio dal regime assolutistico al liberalismo borghese in Sicilia, grazie alla conclusione del Risorgimento e all’unificazione nazionale. Affrontano il problema mettendo a fuoco ambienti, personaggi, mentalità, costumi di grandi famiglie aristocratiche dell’isola.
Oggetto del racconto è in tutti e tre i romanzi la vittoria apparente e il fallimento sostanziale della rivoluzione patriottica in Sicilia, e più in generale nell’Italia intera.
Subentra quindi la messa sotto accusa della storia, incapace di produrre autentici cambiamenti nel tessuto immobile dell’esistenza.
Consalvo, protagonista della parte finale del romanzo, è convinto che al di là di ogni rivolgimento storico nulla può veramente cambiare; i privilegiati devono sapersi adattare alle nuove situazioni pubbliche, come quella successiva all’unità d’Italia, per mantenere intatto il loro potere: «Se la storia è una monotona ripetizione», se «gli uomini sono stati, sono e saranno sempre gli stessi», non c’è alcuno spazio per il cambiamento vero. Possono darsi infiniti pseudocambiamenti, ma si tratta appunto di operazioni trasformistiche, di camaleontici adattamenti ai tempi e il potere non può che essere nelle mani degli stessi “vicerè”: «Un tempo la potenza della nostra famiglia veniva dai Re; ora viene dal popolo… La differenza è più di nome che di fatto».
Oggi I Vicerè di Federico De Roberto è considerato uno dei massimi capolavori del Verismo italiano.