Vita di Galileo di Bertolt Brecht: Sventurata la terra che ha bisogno di eroi!
Vita di Galileo di Bertolt Brecht: la trama
In quindici scene staccate, secondo il modulo del teatro epico, il dramma Vita di Galileo presenta episodi della vita di Galileo Galilei: dal 1609, quando, docente di matematica all’università di Padova, lo scienziato pisano scopre con uno strumento nuovo, il telescopio, fenomeni astronomici che confermano la teoria di Copernico, al 1637, quando, dopo l’abiura, finisce nell’isolamento di Arcetri i Discorsi su due nuove scienze e li consegna segretamente a un discepolo, Andrea Sarti.
Andrea Sarti è l’allievo prediletto dello scienziato, un ragazzo attento e appassionato. Lo vediamo accanto a Galileo fin dalla prima scena. Alla fine del dramma avrà il compito di portare in salvo in Olanda l’ultima opera scientifica del maestro.
Vita di Galileo di Bertolt Brecht: le tre versioni
Brecht lavorò a lungo al dramma Vita di Galileo riprendendolo in diversi momenti. La prima versione risale al 1938-39, durante l’esilio in Danimarca.
In questa prima redazione Brecht addossa la respondabilità dell’abiura alla politica assolutistica e dogmatica della Chiesa: all’allievo Andrea Sarti che gli rimprovera il cedimento e l’abiura dicendogli: «Sventurata la terra che non ha eroi!», il protagonista del dramma, Galileo, risponde: «No. Sventurata la terra che ha bisogno di eroi!». In altre parole, l’eroismo sarebbe stato inutile: nascondendo invece la verità, lo scienziato ha potuto continuare la ricerca. Se fosse salito sul rogo avrebbero «vinto gli altri», mentre in tal modo ha vinto la scienza.
La seconda versione è scritta nel 1945 sotto l’impressione della strage effettuata dalla bomba atomica a Hiroshima, nella quale Brecht vede l’ultimo esito di una «scienza borghese», subordinata agli interessi dei gruppi dominanti.
Non si differenzia dalla seconda la terza e ultima stesura curata nel 1953-55, a Berlino, a nazismo finito, in piena Guerra fredda, per una rappresentazione del Berliner Ensemble.
Ora l’allievo Andrea Sarti rovescia la sua posizione: la scienza ha solo l’imperativo di obbedire alla scienza, è il fine più alto a cui va subordinato ogni altro valore. Ma anche Galileo rovescia il suo atteggiamento. Allora aveva risposto ad Andrea: «Sventurata la terra che ha bisogno di eroi!». Ora invece riconosce che, in seguito al suo cedimento, «hanno vinto gli altri», non la scienza.
Lo scienziato non ha solo responsabilità verso la ricerca: il suo compito non è solo l’astratta conquista della verità, ma è il bene degli uomini, suo dovere è combattere contro l’oscurantismo che li opprime e li rende miseri e schiavi. Se gli scienziati si limitano alla ricerca pura, fine a se stessa, ad «accumulare sapere per sapere», le loro scoperte non sono che fonte di nuove sofferenze per l’uomo. Galileo riconosce che se svesse resistito alla violenza si sarebbero potuti avere grandi rivolgimenti, gli scienziati avrebbero capito di dover far uso della scienza solo a vantaggio dell’umanità. Così, invece, se si afferma la pura scienza come fine, senza alcuna responsabilità verso gli uomini, ne potrà derivare «una progenie di gnomi inventivi», pronti a mettersi al servizio di qualsiasi scopo, anche il più scellerato.
Nelle sue note al dramma, Brecht stesso ci avverte che questa idea delle terribili responsabilità della scienza gli fu suggerita dagli studiosi che consentirono la costruzione della bomba atomica.
Brecht morì nel 1956, prima che divenissero evidenti i danni inferti al pianeta Terra da un esercito di «gnomi inventivi».