L’espressione vittoria mutilata nel primo dopoguerra si riferiva alla mancata assegnazione all’Italia della Dalmazia e della città di Fiume, nella penisola d’Istria, assegnate alla Jugoslavia.
Chi coniò l’espressione Vittoria mutilata?
Fu il poeta e soldato Gabriele D’Annunzio a coniare questa espressione per indicare la convinzione, diffusa tra nazionalisti e reduci italiani della Prima guerra mondiale, che l’Italia non avesse ricevuto la ricompensa fissata con il Patto di Londra del 26 aprile 1915 per la sua partecipazione al conflitto contro gli Imperi Centrali (Austria-Ungheria, Germania, Bulgaria, Impero Ottomano). Motivo del malcontento fu il fatto che, durante i lavori a Versailles per la redazione dei trattati di pace (1919), all’Italia non venne riconosciuto il diritto di ridefinire i propri confini orientali annettendo l’Istria e il territorio di Fiume (odierna Rijeka, in Croazia).
Gabriele D’Annunzio e l’impresa di Fiume
D’Annunzio sostenne con forza l’annessione all’Italia dell’Istria e della Dalmazia e nel 1919, denunciando la “vittoria mutilata”, alla testa di un gruppo di combattenti volontari, occupò Fiume, dalla quale fu cacciato l’anno successivo dall’esercito italiano in ottemperanza al Trattato di Rapallo (vedi L’impresa di Fiume riassunto).
Conseguenze
Oltre a questa insoddisfazione piuttosto diffusa, il quadro del Paese era reso grave anche dalla crisi economica, dal dramma dei reduci e dalla divisione in seno ai vari gruppi della società, soprattutto tra operai e piccola borghesia. Gli anni tra il 1919 e il 1920 passarono alla storia come Biennio Rosso.
Il desiderio di ordine e il mito della pace mutilata portarono all’affermazione del partito fascista guidato da Benito Mussolini, che istaurò un vero e proprio regime autoritario.