Vittorio Emanuele III (Vittorio Emanuele terzo) di Savoia nacque a Napoli l’11 novembre 1867 e nel 1900 diventò re d’Italia, dopo l’assassinio di suo padre Umberto I (Umberto primo) ucciso il 29 luglio 1900 a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci, che non gli perdonava l’onorificenza concessa al generale Fiorenzo Bava Beccaris, responsabile degli eccidi compiuti dall’esercito a Milano per reprimere i moti del 1898. Restò sul trono fino al 9 maggio 1946 quando abdicò in favore del figlio Umberto II.
Fino alla Prima guerra mondiale si mostrò rispettoso del sistema parlamentare e della Costituzione (lo Statuto albertino). A partire dal maggio 1915, invece, assunse un atteggiamento sempre più ambiguo e timoroso della democrazia, che lo spinse infine a sostenere in pieno il fascismo.
Nell’ottobre 1922, infatti, mentre le camicie nere marciavano su Roma, rifiutò di firmare lo stato d’assedio proposto dal governo del liberale Luigi Facta, per fronteggiare con il Regio esercito i fascisti in marcia verso la capitale. Preferì invece affidare a Mussolini l’incarico di formare il nuovo esecutivo.
Durante il lungo governo di Benito Mussolini, Vittorio Emanuele III fu docile, cieco e sordo ai soprusi e alle violenze fasciste, sempre più relegato in una posizione marginale, di rappresentanza secondaria. Accettò i titoli di imperatore d’Etiopia (1936) e di re d’Albania (1939) e lasciò che l’Italia venisse trascinata nella Seconda guerra mondiale accanto alla Germania di Hitler.
Il 25 luglio 1943, quando il Gran Consiglio del Fascismo chiese le dimissioni di Mussolini, il sovrano si dissociò dal duce. Temeva infatti che la caduta del fascismo potesse provocare anche la fine della monarchia in Italia. Rifiutò però di prendere in mano la situazione, di assumere il ruolo di sovrano di una nazione in ginocchio. Si limitò quindi a far arrestare Mussolini e ad affidare l’incarico di formare un nuovo governo al maresciallo Pietro Badoglio. Poi si defilò, fuggendo con la famiglia a Brindisi (leggi Regno del Sud: l’Italia dopo l’8 settembre 1943) lasciando la capitale e due terzi del Paese allo sbando, in balia delle forze nazi-fasciste.
Di fronte alle molte pressioni da parte delle forze antifasciste che chiedevano la sua abdicazione, dopo molte resistenze, fu costretto ad accettare un compromesso: nel giugno 1944 affidò al figlio Umberto II (Umberto secondo) la luogotenenza generale del Regno ma non si dimise. Abdicò in favore del figlio solo il 9 maggio 1946, a poche settimane dal referendum del 2 giugno che sancì la nascita della Repubblica. Gli succedette il figlio Umberto II, detto il “re di maggio” perché rimase in carica per poco più di un mese.
Vittorio Emanuele III morì in esilio ad Alessandria d’Egitto il 28 dicembre del 1947, il giorno dopo in cui venne promulgata la Costituzione italiana.
Nel 2017 la salma di Vittorio Emanuele III è tornata in Italia e riposa accanto alla moglie, Elena di Montenegro, nel santuario di Vicoforte, in provincia di Cuneo.
I gravi errori compiuti da Vittorio Emanuele III
Nel 1922 lasciò che il fascismo e poi la dittatura si affermassero, senza difendere la libertà dei cittadini.
Nel 1938 il re firmò le leggi razziali.
Nel 1940 non si oppose all’entrata in guerra al fianco del nazismo.
Infine, l’8 settembre 1943, per scampare ai nazisti, fuggì da Roma a Brindisi, abbandonando l’Italia al suo destino.